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Se non hai fretta, ti parlo un po' di me.
Mi definisco un'artista poliedrica perché dipingo, faccio sculture, installazioni e riciclo. Non amo farmi riconoscere 
per un unico stile, ma seguire l'impulso del momento, con un'evoluzione nell'utilizzo degli strumenti di lavoro. Per esempio una volta dipingevo col pennello e con la mano sinistra, su tele di piccole e medie dimensioni, poi sono passata a quadri grandi, mentre da più di dieci anni lavoro quasi esclusivamente al computer, utilizzando la mano destra. Da alcuni anni ho cercato di uniformare la misura 
delle tele, prediligendole quadrate e portandole da cm 50 
per lato a cm 80 e infine a 100, con la centratura dell'immagine su fondo scuro, per attirare l'attenzione sul tema, renderlo semplice, di facile lettura. 



Da sempre ho raffigurato le donne, mio tema principale, cercando di produrre rimandi di valenza psicologica nella rappresentazione delle loro emozioni, paure, gioie, rimpianti, solitudine, sofferenza, senso di impotenza, ma anche volontà di imporsi nel mondo, con volti impressi  soprattutto su grandi tele, dal taglio fotografico e di forte impatto cromatico.     
Nel 2018 sono entrata nel mondo delle geishe (“persone d'arte”) che, attraverso un lungo tirocinio e grandi sacrifici, imparano anche l'arte del trucco: sotto una maschera di pasta bianca, che blocca anche le minime espressioni del volto, nascondono abilmente le loro emozioni. Solo gli occhi parlano! I loro gesti sono misurati, accennati, ma quali sofferenze sottendono? E allora perché non optare per donne più felici? Ecco quindi le mie più recenti produzioni: giovani e spensierate giapponesine del nostro tempo. Con volti candidi come la neve, l'innocenza della loro età e la delicatezza data dalla loro cultura, campeggiano su un fondo quadrato completamente nero, vivendo di luce propria. 
Quasi tutte molto sorridenti, gioiose, appagate, sono diventate espressione del mio forte desiderio di serenità, per me e per tutti.

Una ventina d'anni fa è incominciato anche il mio interesse per il riciclo. Ho dipinto molto sulle scatole delle pizze da asporto, perché mi ricordavano la carta fatta a mano, passando un poco alla volta a usare altri contenitori di cibo in cartone, quelli che si ripongono solitamente in cucina, che sono tanti e ingombranti, e che una subdola ma martellante pubblicità ci invoglia a comprare. Sono passata poi a usare scatole di tutti i tipi in cui metto assieme miei piccoli lavori e objets trouvés. Con queste ho partecipato alle mostre collaterali della Biennale di Venezia P3, Performative Paper Project e Overplay, rispettivamente nel 2007 e nel 2013.
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